La filosofia, anche quella pi ù incline a farsi coinvolgere nell ’impresa di estinguere la sete dell ’assoluto, contiene in sé, nella propria vocazione alla ricerca di una comune verit à mediante il dialogo, un antidoto indispensabile al rischio (auto)distruttivo che pu ò annidarsi in ogni tentativo umano, tanto umano di cogliere la totalit à, l ’infinito, Dio. Anche le grandi tradizioni religiose, quelle che da secoli sono impegnate a tracciare sentieri, trovare parole, celebrare liturgie per saziare la fame di assoluto che agita il cuore e la mente degli uomini, non possono fare a meno di intessere un intenso dialogo con questa tradizione di ricerca, soprattutto nei momenti cruciali, quando diventa urgente addomesticare i d èmoni (fanatismo, intolleranza, totalitarismo) che una frequentazione inadeguata del sacro pu ò evocare. La consapevolezza che anche la filosofia non possa dichiararsi storicamente innocente non cancella ma spinge a ritrovare sempre di nuovo la vocazione pi ù profonda di quest ’originale forma di esercizio spirituale: una ricerca appassionata del bene e della verit à, capace di resistere alla suggestione del possesso compiuto e di mantenersi in quella apertura alla possibilit à dell ’errore che è presidio di autentica libert à per sé e per gli altri. Nel cammino per apprendere quest ’arte di maneggiare gli assoluti, diventa allora importante scegliere con cura i propri maestri, frequentare l ’orto che hanno seminato, imparare a usare gli arnesi che hanno adoperato, per diventare capaci di costruirne di nuovi, quelli che si rendessero necessari per coltivare il campo della propria personale esperienza di vita.
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