Nei “Mughetti” di Luigi Paternoster riecheggiano i temi cari al poeta, riletti e rivissuti con l’intensità che gli anni trascorsi gli riconsegnano: il paesaggio, i ricordi, il lago, le terre d’Africa, le figure dei cari scomparsi, la violenta ferocia del mondo. Tanti colori e profumi dipingono i testi, a partire dal giallo d’autunno – presagio di una fine – alle macchie di monti presto imbiancati, al cielo “ azzurro d’amore ”, alla terra calda, ai mughetti che profumano i boschi dei ricordi più belli. Ma affiorano anche silenzi densi, ricchi, non in assenza di suono ma in intimità di canto: “ ho afferrato le piume del vento / in un silenzio infinito di parole ”. A questo nulla gravido di memoria e di bellezza, dove l’usignolo “ mai stanco ” cuciva “ bottoni di stelle ”, il poeta porge la propria anima: “ la notte sono rimasto in ascolto / del nulla/ con solo le stelle / come i visi dei vecchi ”.
E la mattina può commuoversi ancora davanti agli uccelli che si raccolgono sui fili del davanzale, un piccolo bosco canoro allineato “ sul balcone del mio cuore ”. E’ questo stupore che allarga il cuore a dominare i testi, a stemperare la ferocia delle azioni umane che vi trovano luogo (Le mani legate dietro la schiena), ad accarezzare i poveri, ad animare il volo della farfalla arancione che danza. Dal “ piccolo seme ” ancora germoglia uno stelo che diventa grande, capace di sbocciare, di fare capolino “ sull’arido terreno del cuore ”.
Questo è il canto dei “ mughetti ” di Luigi Paternoster, esile, tenace e grande come lo stelo che si fa albero, capace di crescere verso l’alto e di affondare profonde radici nel cuore. Silvia Magistrini
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